Dal Vangelo secondo Marco
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù:«Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
(Mc,14,12-16, – 22-26)
Perché festeggiare l’eucaristia quando la celebriamo quotidianamente? Le ragioni sono diverse e voglio ricordarne qualcuna.
La prima sta proprio nel fatto che la celebriamo “quotidianamente” e tutto quello che è quotidiano è abituale e diventa quindi qualcosa che si fa automaticamente e perciò diventa privo di significato. Questo è il guaio mio di prete e di tanti miei colleghi, meno fortunati di me. Molti di loro infatti dovendo coprire tre o quattro piccole parrocchie diventano sacerdoti “da corsa”, più indaffarati dei campioni di formula uno. Come ci si salva da questo turbinoso “correre” soprattutto nelle domeniche, quando il correre diventa spasmodico? Partendo dalla mia esperienza personale non così concitata (dico di solito una sola messa nei giorni feriali e tre alla domenica e per di più sempre nella stessa chiesa) dico che la prima cosa che mi salva è almeno una mezza ora di preghiera che sempre precede la celebrazione.
Poi mi aiuta la parola di Dio, sempre nuova ogni giorno, che diventa un pensiero che mi accompagna fin dalla sera precedente e che poi mi ritorna durante la giornata. In pratica è ciò che fanno le persone delle messe feriali, quelle che chiamo il mio “cenacolo”. Infatti ad esse spesso affido delle intenzioni che riguardano tutta la comunità. Esse poi dicono prima della messa il rosario ed altre preghiere devozionali. Molte poi seguono personalmente le letture del giorno con dei piccoli sussidi che ne fanno una meditazione giornaliera sempre nuova ed ispirata dallo Spirito santo.
Superato lo scoglio della abitudine, qual è un’altra visione che dobbiamo avere, soprattutto nella messa domenicale? Mi ha sempre commosso il verbale di un processo che condannava a morte dei credenti africani nel secondo secolo. Portati davanti al giudice perché alla domenica si rifiutavano di lavorare essi rispondevano candidamente: “Perché senza il giorno del Signore noi non possiamo vivere”. Erano probabilmente degli schiavi costretti a lavorare come bestie ogni giorno e per sopportare quel peso avevano bisogno di quella messa domenicale che era la loro motivazione e la loro forza.
Non vi pare che, visti i ritmi parossistici delle nostre giornate normali, la nostra eucaristia domenicale sia uno spezzare queste catene che sopportiamo ogni giorno per avere almeno il tempo di guardarci in faccia tra marito, moglie, figli e vecchi? E guardare la nostra vita, non dal punto di vista dei nostri eterni ed insuperabili problemi, ma dal punto di vista del nostro Padre del cielo? Forse se comprendiamo questo anche noi, come gli schiavi dell’Africa del secondo secolo, anche noi possiamo dire: “Senza il giorno del Signore noi non possiamo vivere!”
C’è anche un altro vantaggio che la festa di oggi ci aiuta a scoprire. Si tratta del fatto che il trovarsi insieme a messa ci rende più amici, ci fa davvero progressivamente una grande famiglia. Per quali motivi? Il più evidente è che a messa sentiamo tutti la stessa parola di Dio e poi ci nutriamo tutti del corpo e del sangue del Signore. La nostra assemblea si trasforma sempre di più in una “tavolata” di amici, che nel tempo si conoscono sempre meglio e socializzano. Prova di questo fatto è il buon quarto d’ora che fuori, sul sagrato ci vede impegnati a capannelli che si scambiano serenamente dei discorsi e dei saluti, mentre i nostri bambini giocano tra loro… Ci rendiamo conto del significato di questa cosa? Nel nostro tempo vissuto in una corsa inarrestabile, noi prolunghiamo la nostra messa di ben un quarto d’ora in chiacchiere amichevoli. A me questo fatto sembra proprio un… discreto miracolo.
La festa di oggi infine ci fa prendere consapevolezza del fatto che usciti di chiesa ci facciamo “pane spezzato” per tanti fratelli. Moltissime volte infatti sempre sullo stesso sagrato troviamo dei poveri. Sono felice che non vi limitiate alla monetina, ma sappiate parlare con loro in amicizia. Poi ci sono spesso associazioni di volontariato che cercano di autofinanziarsi offrendovi fiori o dolci, facendovi intanto scoprire le loro finalità benefiche. Qualcuno di voi è diventato più povero perché magari ha portato a casa il dolcetto per fine pranzo? Penso proprio di no. E questa è una bellissima cosa. Una cosa che completa la nostra eucaristia in modo mirabile!